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 Impegnarsi in una pratica costante  

DETLEV GOBEL

Elenco degli insegnamenti

Detlev Gobel, trentanove anni, redattore di Buddhismus Heute, ha preso il Rifugio Buddhista nell'ottantaquattro da Lama Ole Nydhal. Lavora presso una grande azienda e vive nel Centro Buddhista di Monaco.



Milarepa L'inizio di una pratica di meditazione costante comporta un cambiamento negli impegni abituali della giornata. Inserire, ogni tanto, una breve meditazione nella vita di tutti i giorni è relativamente semplice, ma quando si vogliono fare le Pratiche Fondamentali del Grande Sigillo, la cosa diventa più impegnativa e richiede più tempo. Ecco alcune idee e suggerimenti per chi compie i primi passi sulla via.

Non solo meditazione...

Quando sentiamo la parola "pratica", come Buddhisti pensiamo per prima cosa alle pratiche di meditazione. Ma la pratica Buddhista è qualcosa di più, in quanto esistono molti tipi di meditazione, che non necessariamente conducono spontaneamente alla Liberazione e all'Illuminazione. Inoltre, con la meditazione, possono essere coltivate tutte le qualità umane - positive e negative. Per far sì che, tramite la meditazione, possano sorgere qualità positive nella mente e che la mente sia finalmente indirizzata verso l'Illuminazione, una pratica Buddhista completa comprende altri due aspetti: da un lato la meditazione collocata in una visione liberatrice, dall'altro un comportamento corretto. Una visione liberatrice sorge quando si ricevono gli insegnamenti del Buddha sulla vera natura delle cose, si prende confidenza con essi e, grazie a riflessioni e domande, sorge una certezza interiore. Ciò che fa sì che la nostra pratica ci porti all'Illuminazione, è la visione che chi sperimenta, ciò che è sperimentato e l'esperienza sono parti di un'unità, e che la nostra mente contiene già tutte le qualità di Buddhità come potenziale da risvegliare. La meditazione è ciò che trasforma la comprensione in esperienza - "scivolando dalla testa al cuore" - poiché non si segue il principio di accumulare sempre più conoscenza, quanto invece quello di riconoscere la natura della mente, che è al di là di concetti e idee. Ciò che si intende per comportamento corretto non è una costrizione così come viene intesa nelle religioni teistiche; è invece un buon consiglio da parte del Buddha, che ci aiuta ad avere un sviluppo umano completo. Si deve considerare il Buddha come un amico che ha una visione più aperta. Fa sì che poniamo la nostra attenzione su come si sviluppano certi comportamenti e dà consigli su come rendere stabili certi livelli di sviluppo che abbiamo già raggiunto. Questi tre pilastri della pratica Buddhista sono collegati l'uno all'altro. Per esempio, meditare senza avere la giusta visione, non conduce all'Illuminazione.

Una visione liberatrice sorge quando si ricevono gli insegnamenti del Buddha sulla vera natura delle cose, si prende confidenza con essi e, grazie a riflessioni e domande, sorge una certezza interiore
Meditare senza sapere che la mente che sperimenta e le cose sperimentate sono nella loro essenza la stessa cosa, nel Buddhismo viene paragonato a qualcuno che brancola nella nebbia. D'altra parte, quando si cerca di avere la giusta visione senza praticare la meditazione, certamente si potrà diventare un grande erudito, ma non si riuscirà mai ad avere la padronanza delle proprie emozioni perturbatrici e ad arrivare all'essenza degli insegnamenti del Buddha. Lo si può paragonare a qualcuno che in teoria conosce una strada, ma non la percorre mai realmente. Infine, ignorando completamente i consigli del Buddha sul corretto comportamento, sarebbe altresì difficile collegare una giusta visione ad una buona meditazione. Questi metodi su come poter rendere sicuro ciò che si è già raggiunto, possono essere paragonati a dei ganci di sicurezza durante un'arrampicata.

Distrazione e ispirazione

I gruppi della Via di Diamante offrono oggi, a chi è interessato, diverse possibilità, tutte da sfruttare. Vi si può semplicemente prendere parte per dare un maggiore significato alla propria vita e una direzione interiore, oppure ci si può affidare completamente al metodo graduale, iniziando le pratiche Fondamentali - il Ngondro - dopo aver preso Rifugio. Quasi tutti coloro che, in un modo o nell'altro, desiderano iniziare una pratica di meditazione costante, incontrano tutte le possibili difficoltà. Ostacoli innumerevoli ci sviano e ci fanno perdere tempo; anziché imparare ad osservare la mente stessa che sperimenta, il mondo intero ci sembra un complotto che mira a farci perdere nelle numerose immagini sperimentate dalla mente. Ci si sorprende, sempre più, nello scoprire come si evita la pratica del Dharma e si nota quanto sforzo consapevole sia necessario per ritrovare l'ispirazione e andare avanti. Per fortuna c'è anche tutta una serie di aiuti esterni ed interiori. Innanzi tutto dà sempre forza e ispirazione il contatto con un gruppo di amici che percorrono la stessa strada, così come una fiduciosa connessione con un maestro della Via di Diamante. E interiormente, prima di tutto, ci sono il Rifugio e la motivazione altruistica di voler percorrere la via non solo per il proprio personale beneficio.

Meditare senza sapere che la mente che sperimenta e le cose sperimentate sono nella loro essenza la stessa cosa, nel Buddhismo viene paragonato a qualcuno che brancola nella nebbia
Come un coltello affilato nel burro, la profonda certezza che alla fine solo lo stato di Buddha porta ad una durevole gioia per se stessi e per gli altri, si fa strada tra le distrazioni del mondo condizionato. Ciò che è piacevole viene sperimentato sempre più come un dono della mente a se stessa, e ciò che non è piacevole come una purificazione, come lo sciogliersi di impressioni negative nella mente. Sia il positivo che il negativo, possono anche sviare dalla via imboccata. Se si è però veramente interiorizzata la fiducia, in un attimo tutti gli ostacoli svaniscono, perché si sono poste altre priorità nella propria vita. Molte cose, che ora si ritengono indispensabili, svaniscono davanti alla grande visione di raggiungere lo stato di Buddha e di poter aiutare gli altri a farlo. L'esempio più famoso per questo tipo di fiducia irremovibile e delle sue conseguenze, è Milarepa che in una sola vita, da un terribile inizio in quanto assassino di trentacinque persone, diventò un Buddha completamente illuminato. Egli disse: "Se in questa vita non si medita, la si spreca. Quindi è meglio preoccuparsi che in punto di morte non ci sia nulla di cui dispiacersi". Leggere la storia della sua vita, è una delle ispirazioni più forti che un libro ci possa dare.

Un principio fondamentale

Una fiducia come quella di Milarepa non si può far scattare a comando; si sviluppa e ha bisogno di solide basi che devono resistere anche quando la vita diventa burrascosa. Questa forza interiore di dare alla pratica del Dharma un ruolo centrale nella propria vita, e di mantenerlo - sia che lungo il percorso ci sia gioia, sia che ci sia purificazione -, viene chiamato dai Tibetani col nome immaginifico di Njing-ru "Ossa del cuore". E', fondamentalmente, l'impegno con i così denominati "Quattro Pensieri che indirizzano la mente", che ci danno le basi e la profondità per restare irremovibili nella nostra pratica di Dharma. Grandi maestri hanno già detto che questi Quattro Pensieri sono più importanti delle stesse Pratiche Fondamentali, in quanto senza di essi non verrà mai data stabilità alla pratica. Senza una comprensione del fatto che ora si è in una situazione molto favorevole e che non sarà così per sempre; senza la consapevolezza che sulla base del karma siamo responsabili delle nostre esperienze, e che lo stato di non-illuminati sarà sempre di infelicità rispetto alla gioia dell'Illuminazione, non si raggiungerà mai una pratica di meditazione stabile. Con un poco di fiducia di base nel Dharma, questi insegnamenti non sono difficili da comprendere. Che valore dobbiamo quindi attribuire a ciò che a volte persino i grandi maestri dicono, e cioè che essi stessi non li hanno ancora realmente compresi? Ciò cui essi vogliono alludere è questo: impegnandosi con i Quattro Pensieri non ci si deve accontentare solo di capirli, ma bisogna interiorizzarli veramente. Solamente quello che ci è penetrato fin nel midollo delle ossa sopravvive anche davanti alla vecchiaia, alla malattia, alla morte e a tutti gli altri problemi della vita. Gli insegnamenti sul prezioso corpo umano, sull'impermanenza, sul karma, sugli svantaggi del mondo condizionato possono essere stati sentiti una volta sola, ma possono essere andati comunque in profondità, cambiandoci la visione della vita e del mondo. Oppure possono essere stati sentiti numerose volte, ma si resta come una pietra nell'acqua, che si bagna solo esternamente e non internamente. Forse si tratta solo di analizzare, con mente aperta, cosa potrebbero aver a che fare con la propria vita e con la situazione di tutti gli esseri.

Solamente quello che ci è penetrato fin nel midollo delle ossa sopravvive anche davanti alla vecchiaia, alla malattia, alla morte e a tutti gli altri problemi della vita

Abitudini

Kalu Rinpoche ha dovuto spesso rispondere a persone che facevano domande relative a problemi legati alla pratica, dicendo loro che non avevano compreso appieno - per lo meno - uno dei Quattro Pensieri, perché altrimenti non avrebbero avuto problemi con la pratica. La naturale conseguenza dell'interiorizzazione dei Quattro Pensieri è la presa di Rifugio in valori durevoli, invece che in cose fugaci e di breve durata. Quindi, all'inizio di ogni nostra meditazione, essi preparano la mente alla Presa di Rifugio e allo sviluppo della mente illuminata, in modo da darvi sempre maggiore profondità. Sforzarsi senza questa comprensione, e senza prendere rifugio veramente nella pratica del Dharma, ha poco senso e non fa sorgere la giusta motivazione. Nessuno di noi può pensare di poter praticare da un giorno all'altro come faceva Milarepa. E' vero che a volte ci sono persone che durante un fine settimana fanno così tante prosternazioni da farsi sanguinare le ginocchia, ma spesso passano poi mesi senza fare più nulla , il che non ha senso. La cosa migliore è fare ogni giorno quello che si può, in modo da sviluppare un'abitudine giornaliera alla pratica del Dharma. Le abitudini sorgono avendo fatto a lungo, spesso per molte vite, sempre la stessa cosa. Si può cercare malamente di cambiarle in un fine settimana con un'azione d'urto, ma è meglio con la perseveranza e la continuità, perché la mente non illuminata è come un animale pigro, che preferisce fare le cose che ha sempre fatto, cioè rimanere non illuminato. L'abitudine di trovare più interessante ciò che viene sperimentato, invece dello sperimentatore stesso, è una cosa che ci appartiene da un tempo senza inizio. Rincorriamo le immagini nello specchio invece di guardare la superficie dello specchio della mente stessa, e questo solitamente perdura per un certo tempo anche praticando, fino a che qualcosa cambia fondamentalmente. L'esperienza che lo specchio stesso è infinitamente molto più bello e interessante delle immagini che vi si riflettono e che tutto ciò che accade nella mente è interessante semplicemente perché accade, di solito non si verifica dopo solo un paio di settimane di pratica. Poiché, in effetti, una tale esperienza non corrisponde a quella attuale, il primo passo verso di essa è soprattutto avere la fiducia che potrebbe essere così. Per fortuna tra gli insegnanti della Via di Diamante ci sono esempi viventi di persone che hanno questa esperienza e che danno la possibilità di parteciparvi, in proporzione all'apertura di ognuno.

"Noblesse oblige"

Ciò che però può accadere velocemente, è lo sperimentare che la pratica produce qualcosa di buono in noi e che si sta meglio con se stessi e con il mondo. Ci si trova in situazioni - prima vissute come problematiche - che ora e sempre più spesso (si nota con stupore), non lo sono più. Questo ci fa capire quanta libertà e gioia ci aspettano lungo il percorso. Se fin dall'inizio si mette un poco di energia nella pratica, si ricevono subito delle buone risposte che danno una maggiore fiducia nei metodi, e si ha anche maggiore gioia dalla pratica. Questo accade, per esempio, anche con il Phowa, durante il quale - in alcuni giorni di meditazione intensiva nel campo d'energia di un maestro potente, con un forte potere di benedizione - si ha un vero cambiamento, sia fisico che mentale. Questa prima veloce esperienza porta una buona spinta alla pratica futura. Come spesso accade, anche nella pratica idealmente qualità e quantità si unificano. La qualità conferisce profondità alla pratica ed è legata alla comprensione, alla buona motivazione, alla devozione verso l'insegnante, alla compassione per gli esseri. Con la quantità si intende che non si è pigri, che si utilizza il proprio tempo per praticare, a volte anche come è più conveniente. Questo va comunque molto bene, anche perché il IX Karmapa Wangchuk Dorje, una volta disse: "Se meditate, mentre la vostra costanza si rafforza con le difficoltà, collezionerete innumerevoli qualità". La cosa migliore sarebbe poter avere sia la qualità che la quantità, ma chi ne è capace? Siccome le due cose si condizionano reciprocamente, si segue ciò da cui si è più attratti. Lavorando con la mente, la quantità ad un certo punto porta automaticamente, in ogni caso, alla qualità. L'accumulazione di molte e buone impressioni nella mente, rende la mente stessa sempre più aperta ad un'ulteriore visione: la mente ha fiducia di poter riconoscere qualcosa di più della sua vera natura. Se dall'altra parte ci si impegna con gli insegnamenti e il loro utilizzo nella vita, nasce una sensibilità per la profondità del Dharma, e questo porta un desiderio sempre maggiore per la pratica. La nostra scuola Karma Kagyu, che è conosciuta anche come Lignaggio della pratica, ha prodotto molti dei più importanti realizzati del Tibet - …"Noblesse oblige". A Gampopa il significato della pratica venne conferito in modo insistente da Milarepa, il suo insegnante: quando Gampopa fu in procinto di congedarsi da Milarepa, questi gli diede tutti i possibili consigli e profezie. Infine gli disse:"Ho ancora un insegnamento piuttosto profondo, che però non ti posso dare, perché è troppo prezioso". Che altro poteva fare Gampopa? Partì senza questo insegnamento. Ma, improvvisamente, Milarepa apparve nuovamente davanti a lui e gli disse:"A chi dovrei darlo, del resto, se non a te?". Gampopa gli chiese se, per ricevere quell'insegnamento, avrebbe dovuto portargli un mandala - come era d'uso in queste circostanze. Milarepa rispose che non era necessario, alzò la propria veste e mostrò a Gampopa il posteriore segnato dalle cicatrici callose, dovute alle molte ore di meditazione sulla nuda roccia. E disse a Gampopa, che era davvero stupefatto:" L'insegnamento più profondo nel Buddhismo è praticare!".

Idee rigide

Milarepa stesso è l'esempio di una pratica meditativa costante. Ma come vi è riuscito? Fu possibile perché il suo Lama, Marpa, gli aveva dato proprio questo percorso. Mentre si stava congedando da Marpa, questi gli disse: "Cerca rifugio nella solitudine delle montagne sterili, nella neve e nei boschi." Milarepa fu assolutamente costante nel fare quello che il suo Lama gli aveva detto e, in questo modo, portò grande beneficio a sé e a innumerevoli altri esseri. Ad altri maestri è stato detto dai propri insegnanti di dedicare la propria vita e tutte le proprie energie alla divulgazione del Dharma nel mondo, e che in questo modo si sarebbero sviluppati come se avessero passato il medesimo tempo meditando. Per questo non si deve essere troppo fissati con idee rigide sulla quantità di pratica giornaliera, poiché, come spesso dice Lama Ole, "Tutto è l'arte del possibile". Seguire con accanimento un "piano di meditazione" o la propria "tabella di Ngondro" può renderci ciechi verso tutte le altre possibilità di sviluppo che ci possono essere mostrate dal nostro insegnante. Nei nostri gruppi capita di vedere esempi di persone che spesso, proprio perché fanno molto per gli altri, non trovano tanto tempo per la pratica formale e, a malapena, possono fare le Pratiche Fondamentali: dallo sviluppo di queste persone alcuni bravi meditatori potrebbero imparare ancora molto. Da noi la disciplina non è al primo posto, come invece in altre scuole Buddhiste. Pensare di più agli altri, invece che a se stessi, essere aperti alle molte possibilità in ogni situazione, provare veramente devozione per il maestro, mantenere sempre la visione pura della purezza e bellezza fondamentali di tutte le cose: tutto ciò, per noi Kagyu, ha la precedenza.

Motivazione

All'inizio ci sono sempre due possibili cause che possono motivarci: la gioia dell'illuminazione e la sofferenza del mondo condizionato. Si può anche, a seconda di come si è, passare alternativamente dall'una all'altra. In Occidente oggigiorno viene preferito naturalmente l'aspetto gioioso: si tiene presente quale gioia enorme si raggiunga con l'illuminazione, si va da insegnanti che ce ne possono dare un'introduzione, si leggono le biografie di grandi maestri, dalle quali si può trarne una descrizione, si può immaginare come sarebbe bello poter rendere felici in modo durevole tutti gli esseri attorno a noi etc. - Kunzig Shamar Rinpoche una volta diede una risposta molto significativa a chi chiedeva da cosa si può capire se si sono fatte "bene" le Pratiche Fondamentali: "Dal fatto che davvero si abbia gioia praticando il Dharma". Utilizzare la gioia lungo il percorso verso l'Illuminazione è il cuore della Via di Diamante. La meta è una condizione in cui vengono sperimentati spazio e gioia inseparabili, e alcune delle pratiche più efficaci lungo la via lavorano direttamente con le condizioni di più alta gioia, collegate con la comprensione della loro vacuità. Nella sua vera essenza, la persona stessa che sperimenta - che però nella condizione di essere non illuminato avverte il passaggio dalla gioia alla sofferenza - non è neutra, bensì è la più alta gioia, poiché non c'è il concetto di un io che sperimenta. Esserne consapevoli può essere di enorme ispirazione. I secoli di Cattolicesimo, con le minacce di fuochi infernali, e lo stesso stile di alcuni rappresentanti del Buddhismo, la cui vita era povera di gioia, hanno reso allergica la maggior parte di noi verso l'altra motivazione, quella della sofferenza: mentre in Tibet l'accento sulle sofferenze del Samsara era molto marcato, in Occidente allontana le persone. Comunque, al di là dell'aspetto drammatico, ogni tanto si può pensare a quanta sofferenza c'è in tutto il mondo. Notizie dall'Africa, dai quartieri poveri del terzo mondo, dai reparti degli ospedali, dove vengono curati i malati di cancro o di AIDS, possono far nascere il desiderio di come sarebbe bello poter fare qualcosa per tutti questi esseri. La stessa idea di come sarà essere vecchi e malati e morire - e continuare a ritenere di essere davvero questo corpo invece di pensare di "avere un corpo" - può dare una buona spinta alla motivazione, senza dover necessariamente pensare subito al mondo come ad una valle di lacrime. Milarepa, dalla sua particolare situazione, con trentacinque morti sulla coscienza, seguì questo secondo principio: egli stesso disse che la paura delle conseguenze karmiche del suo orribile comportamento fu ciò che lo spinse verso l'Illuminazione. Indipendentemente da quale dei due principi si segua, si deve fin dall'inizio sviluppare il punto di vista che non si pratica solo per stare meglio noi stessi, ma per essere davvero capaci di essere utili agli altri. Solo questo fa sì che la pratica sia davvero illuminante e non porti unicamente ad una condizione di gioia personale.

Amici e coloro che ci aiutano

Solo poche persone sono capaci di praticare a lungo da sole. Per la maggior parte è di grande aiuto avere contatti con un gruppo e poter scambiare le proprie idee con degli amici. Per uno sviluppo completo è ottimo ricevere un feedback dal gruppo di Dharma, in modo da non arrivare "su un binario morto di sviluppo" o crearsi un proprio Dharma per passatempo. Gli amici del gruppo, come in realtà tutte le esperienze, dovrebbero essere visti come uno specchio della propria mente. Lavorare insieme nel campo d'energia di un centro della Via di Diamante è qualcosa di diverso dal lavorare come nell'allevamento di conigli della vostra zona, poiché tocca e trasforma i livelli più profondi della mente. Come diamanti sporchi che si levigano, si puliscono e splendono sempre più sfregandosi l'uno contro l'altro, un intenso sviluppo è dato dal lavoro insieme nel centro. Inoltre, difficilmente si ha una simile possibilità di riempire velocemente la mente di buone impressioni, necessarie per riconoscere la nostra vera natura. Nello scambio amichevole all'interno del gruppo, si sperimenta anche che tutti hanno gli stessi problemi e le stesse gioie con la pratica, e si può prendere parte ai grandi tesori pratici dell'esperienza degli amici e di chi ci aiuta. La maggior parte delle persone, per esempio, conduce una vita più o meno regolare, e ha provato che è molto utile avere un luogo e un momento fisso per la pratica. Se ci si prepara in casa un luogo speciale per la pratica, con un'immagine o una statua del Buddha, ogni volta che lo si vedrà si penserà alla pratica, e ci attirerà sempre più spesso. La meditazione costante in un luogo preciso fa sì che vi si accumuli un forza che protegge molto la pratica. Anche un momento preciso aiuta molto a creare una buona abitudine. E' molto più facile praticare in un momento fisso della giornata, piuttosto che aspettare che sorga spontaneamente. Una circostanza, quest'ultima, che accade molto raramente: come dicono in tanti, si medita di più in periodi in cui si conduce una vita regolare, che non quando - non avendo nulla da fare - si avrebbero molte più opportunità.

 

Via di Diamante, Anno 1 Numero 2 Settembre 2002