Buddha nella Silicon Valley

Il XVII Karmapa Thaye Dorje

Intervista con il XVII Gyalwa Karmapa Trinlay Thaye Dorje, Menlo Park, California, settembre 2003

In un caldo giorno autunnale, nel nord della California, la redazione della rivista Buddhism Today ha avuto il privilegio di incontrare il XVII Gyalwa Karmapa, ventenne, guida del lignaggio Karma Kagyü del buddhismo tibetano. Dopo aver raggiunto a sud di S.Francisco la casa di Sandy e Chris Yen, sostenitori dell’attività del Karmapa negli Stati Uniti, abbiamo condotto la prima intervista ufficiale finora concessa da Trinlay Thaye Dorje.


È un grande piacere avere la possibilità di parlarle in occasione della sua prima visita negli Stati Uniti. Cosa l’ha colpita maggiormente dell’America e degli americani?

In America tutto ha grandi dimensioni… grandi strade, grandi macchine, ho visto persino persone di grosse dimensioni (risata). Generalmente, le persone hanno una mentalità aperta e questo è molto importante nel buddhismo.

Sin dalla mia prima infanzia, quando ero ancora in Tibet, ho sempre desiderato viaggiare. La possibilità di vedere posti diversi era per me molto eccitante. Quando ho viaggiato in Europa, o in altri luoghi, è stata una esperienza da cui ho imparato molto e sta accadendo la stessa cosa qui. Nonostante abbia trascorso il mio tempo nello stesso luogo per gli ultimi due mesi, sto ancora imparando molto. E, in tutti i suoi aspetti, si sta rivelando una grande esperienza.

Quello che rende il buddhismo così speciale e lo differenzia dalle altre religioni, sta nel fatto che è un metodo che ci permette di entrare in connessione con la nostra vera essenza. Basandoci sui metodi buddhisti, possiamo realizzare la natura di ogni cosa.

Quali sono i punti più essenziali del buddhismo?

Il buddhismo non è una religione o una filosofia. Quello che rende il buddhismo così speciale, e lo differenzia dalle altre religioni, sta nel fatto che è un metodo che ci permette di entrare in connessione con la nostra vera essenza. Basandoci sui metodi buddhisti, possiamo realizzare la natura di ogni cosa. Si potrebbe usare l’espressione “realizzare la natura della mente”, in quanto la mente crea questo mondo samsarico. Per questa ragione, la mente è così importante; ma, d’altronde, si può semplicemente dire “la natura di tutto”. Qualunque cosa vediamo, qualunque cosa sentiamo, qualunque cosa creiamo, il buddhismo descrive la natura di tutto ciò.

Il buddhismo è un metodo. Non è basato su ciò che qualcuno ha detto o su un approccio fideistico; è basato su dati e informazioni verificabili. Quando usiamo questi metodi, nel tentativo di raggiungere la verità, noi non usiamo solo il dharma, ma anche tutte le risorse e qualunque altra conoscenza possiamo ottenere da questo mondo, senza attaccarci a nessuna di esse.

Dove si colloca il concetto di bodhicitta (ita. l’attitudine illuminata)?

Per noi praticanti Karma Kagyü, che seguiamo le vie del Mahayana e del Vajrayana, la bodhicitta è un aspetto molto importante. La bodhicitta cambia ogni cosa a cui è applicata. Anche se compiamo azioni per un fine personale, qualunque cosa facciamo dovremmo farla con l’intenzione di essere di beneficio agli altri. Questo è essenziale nel buddhismo Vajrayana.

Sia il Mahayana che il Vajrayana lavorano con la bodhicitta.

La via del Mahayana è più estesa e chiara, ma procede passo dopo passo seguendo le istruzioni che si trovano sui testi. Il Vajrayana usa metodi più diretti; è più rischioso e attraente. Procediamo diretti all’ultimo stadio e, da quel punto, cerchiamo di guardarci indietro e vedere come siamo arrivati fin lì.

Le scuole Hinayana e Mahayana per prima cosa piantano il seme, lo innaffiano, lo nutrono e infine ottengono il risultato. Essi usano un approccio molto sistematico. Nel Vajrayana cerchiamo di combinare il piantare il seme con il frutto stesso. Cerchiamo avvicinare questi due aspetti fra loro e usiamo ogni modo possibile per avere il frutto già entro pochi giorni.

In altre parole si prende il risultato come punto di partenza.

Sì. Questo è il modo in cui utilizziamo i metodi più efficaci.

È come aggiungere al processo del fertilizzante e usare l’ingegneria genetica.

(risata)

Può spiegare meglio la bodhicitta?

‘Bodhicitta’ è una termine sanscrito. In tibetano usiamo i termini monpa sem khyed e jukpa sem khyed. “Sem” significa mente e “khyed” significa generare. Indica quindi il generare la mente di bodhicitta, sia con l’aspirazione e sia attraverso l’applicazione. “Monpa sem khyed” è la pratica della bodhicitta dell’aspirazione e “jukpa sem khyed” è la pratica della bodhicitta dell’applicazione.

Per prima cosa si deve vedere il mondo samsarico come sofferenza, quindi riconoscere che gli esseri senzienti sono catturati in questa sofferenza. Sulla base di questa comprensione, si assume l’impegno di rimuovere la sofferenza e donare invece gioia. In tibetano esprimiamo questo con i termini “jampa” e “nyinje”. “Jampa” significa donare felicità, e “nyinje” significa rimuovere la sofferenza. Questo è abbastanza semplice e basilare. Penso che la traduzione occidentale per “jampa” sia “gentilezza amorevole”, mentre “nyinje” ppuò essere tradotto come “compassione”.

Donare la felicità duratura non significa fare opere di beneficenza ma insegnare il dharma e aiutare le persone a comprendere il suo significato, ciò che comporta e la sua pratica.

Donare la felicità duratura non significa fare opere di beneficenza ma insegnare il dharma e aiutare le persone a comprendere il suo significato, ciò che comporta e la sua pratica. Sia la bodhicitta dell’aspirazione, sia quella dell’applicazione sono necessarie.

La bodhicitta è importante quando si intraprendono attività di dharma. Dobbiamo aiutare gli altri allo stesso modo in cui aiutiamo noi stessi, e aiutando noi stessi saremo in grado di aiutare maggiormente gli altri. Funziona in entrambe le direzioni.

Cosa si intende esattamente con bodhicitta dell’applicazione?

La bodhicitta dell’aspirazione è l’impegno di raggiungere lo stato dell’illuminazione, mentre la bodhicitta dell’applicazione consiste nell’intraprendere realmente la via dell’illuminazione. La bodhicitta dell’applicazione è coraggio. Non significa fare degli auspici e scappare via, ma applicarli, prendere la situazione in mano e affrontarla. La bodhicitta dell’applicazione comprende le “sei paramita” (ita. le sei azioni liberatrici).

Il dare insegnamenti o iniziazioni, o il fondare un centro di meditazione buddhista, possono essere considerati esempi di bodhicitta dell’applicazione?

La bodhicitta dell’applicazione è la combinazione di intenzione e azione. Senza l’intenzione, che cosa si potrebbe mai fare? Quando si costruisce un centro di meditazione, si danno insegnamenti o iniziazioni, o semplicemente si medita, abbiamo bisogno di farlo con l’intento di essere di beneficio agli altri, non è vero?

Lei è la guida del lignaggio Karma Kagyü. Cosa differenzia questa speciale trasmissione?

“Ka” in tibetano significa tutti gli insegnamenti, e “gyu” significa la trasmissione che è stata passata da un maestro realizzato a quello successivo. La trasmissione è pura, chiara e senza errori. Il lignaggio Karma Kagyü ha inizio con Tilopa e Naropa. Tilopa ha ricevuto la trasmissione direttamente da Dorje Chang e dai maestri realizzati provenienti dalle quattro direzioni dell’India. La trasmissione è stata quindi passata a Marpa, Milarepa, fino a Gampopa. Gampopa diede la trasmissione ai suoi quattro principali studenti, e specialmente al primo Karmapa, Dusum Kyempa. Il primo Karmapa era noto come “Khampa Use”. Khampa è una regione del Tibet orientale, e “Use” significa capelli grigi.

La nostra scuola, Kamtsang Kagyü, inizia con il primo Karmapa. Le nostre pratiche principali sono “i sei yoga di Naropa” e la “Mahamudra”. Mahamudra è il termine sanscrito usato nella scuola Kagyü. In tibetano è tradotto come “Chag Gya Chenpo” ed è un insegnamento specifico del nostro Lignaggio che consiste nel meditare direttamente sulla natura della mente. Ovviamente esistono diverse espressioni per indicare gli insegnamenti della Mahamudra nelle scuole Nyingmapa o Gelugpa, ad esempio “Tawa Chenpo”, “Uma Chenpo” e “Dzogpa Chenpo”.

Quale è la differenza tra Mahamudra e Dzogchen?

Sono semplicemente metodi differenti. Esistono differenti approcci adatti a persone differenti. Alla fine, non è importante quale metodo usiamo per ottenere la meta. Il risultato è sempre lo stesso. È come dire, “Ora vado a Francoforte, e posso andarci con la Lufthansa o con la United.”

Nei nostri centri buddhisti della Via di Diamante, la pratica principale è il guru yoga sul XVI Karmapa. Può spiegare i benefici di questa pratica?

Si dovrebbe per prima cosa comprendere il significato del guru yoga. Il guru yoga è la meditazione sul proprio insegnante. Di solito, si possono visualizzare forme di meditazione pacifiche o irate, ma il motivo per cui si pratica il guru yoga è che l’insegnante è un essere umano, proprio come noi. In questo modo è più semplice relazionarsi con il maestro; possiamo avere un legame più forte e una migliore connessione. Di fatto, senza l’insegnante, non si sarebbe mai venuti a conoscenza del dharma. Il guru è la migliore guida, la migliore via. Sia il guru yoga, sia le pratiche degli yidam (aspetti di meditazione NdT) sono essenziali, ma la ragione per cui il guru yoga è così speciale risiede nel fatto che senza un insegnate non si sarebbe mai venuti a conoscenza persino dell’yidam. L’insegnante ci mostra tutto. Stiamo acquisendo tutte le sue qualità e le stiamo usando per raggiungere il suo stesso livello di realizzazione.

Il motivo per cui si pratica il “guru yoga” è che l’insegnante è un essere umano, proprio come noi. In questo modo è più semplice relazionarsi con in maestro; possiamo avere un legame più forte e una migliore connessione. Di fatto, senza l’insegnante, non si sarebbe mai venuti a conoscenza del dharma. Il guru è la migliore guida, la migliore via.

Quando pensiamo all’insegnante, proprio perché è un essere umano come noi, siamo in grado di relazionarci con lui più facilmente e imparare qualcosa. Quindi, quando pratichiamo il guru yoga, la benedizione che riceviamo sarà persino maggiore, semplicemente perché la nostra mente è più aperta. Se così non fosse, potremmo limitarci a fare il guru yoga su una pietra. Sarebbe lo stesso. Ma con un insegnante ci sentiamo più sicuri, abbiamo più fiducia.

D’altra parte, non dovremmo pensare all’insegnante semplicemente come a un essere umano, ma dovremmo pensare anche alle sue qualità. Queste qualità sono i “tre gioielli”; l’insegnante li contiene tutti. Come il Buddha, l’insegnante non è solo una persona ma colui o colei che ci mostra la via dell’illuminazione. In secondo luogo, impersona e conosce il dharma; terzo, ci aiuta lungo il nostro percorso, e questo è il Sangha. Se pensiamo al guru yoga come ad pratica solo sul corpo dell’insegnante, allora esso diventa una fonte del samsara. Non esiste nessuna qualità durevole in un corpo umano; consiste solo di carne e ossa.

Attraverso il guru yoga, l’insegnante ci permette di comprendere il livello ultimo, il componente finale che rende tutto chiaro e cristallino. L’insegnate ha tale qualità.

Il guru yoga sembra essere una pratica molto più adatta al nostro stile di vita, rispetto ad altri metodi come ad esempio i “sei yoga di Naropa”.

Ogni parte della pratica buddhista è essenziale. Qualunque pratica si usi è importante e sono tutte efficaci. Se si fa uso di una pratica in cui si ha più fiducia e che sentiamo più adatta a noi, otterremo i risultati più velocemente. È una questione di che cosa sia più adatto per ogni individuo, a seconda delle condizioni, del periodo storico e persino della cultura.

Possiamo ottenere la realizzazione dei grandi maestri senza lunghi ritiri e senza pratiche come ad esempio i “sei yoga di Naropa”?

Generalmente ci viene insegnato che la pratica dei “sei yoga di Naropa” comporta molteplici aspetti e un notevole impegno. Successivamente potremmo riceveree insegnamenti secondo i quali se si pratica semplicemente il guru yoga, si ottengono gli stessi risultati. Allora potremmo essere indotti a pensare: “Il guru yoga è molto breve e sono in grado di farlo”. Tuttavia progressivamente si giunge a comprendere le speciali qualità dei metodi quali i “sei yoga di Naropa”, come ad esempio il phowa; si comprende come, senza di essi, non si può approfondire la pratica allo stesso modo e non si è in grado di realizzare la verità in così breve tempo. Così si arriva ad un punto in cui uno vuole praticare i “sei yoga di Naropa”; diventa una necessità. Attraverso il guru yoga, ci si avvicina e si ricevono frammenti e assaggi dei “sei yoga di Naropa”. Se ne ottiene il sapore, ma non la completa esperienza.

Può dire qualcosa sul potere dei mantra? Quali sono i benefici dell’uso del mantra Karmapa Cenno?

Usiamo il mantra Karmapa Cenno nella pratica del guru yoga sul XVI Karmapa per avvicinarci al livello di realizzazione del Karmapa. In tibetano “karma” significa attività e “pa” e la persona che svolge l’attività. Karmapa significa semplicemente “colui che svolge l’attività”. In questo modo persino il mantra è una forma di guru yoga.

Il solo dire il mantra è un guru yoga?

Probabilmente non solamente dirlo, ma anche il pensare al suo significato. Quando ripetiamo questo mantra, siamo molto vicini all’essenza del Karmapa; invochiamo il suo corpo, la sua parola e la sua mente. Queste parole portano con sé l’essenza delle tre espressioni del Karmapa: passato, presente e futuro. O semplicemente potremmo dire che il Karmapa, o qualunque altro Lama su cui facciamo il guru yoga, incarna i tre gioielli.

Quando recitiamo le sei sillabe del mantra di Chenresig (skt. Avalokitesvara), Om Mani Peme Hung, apriamo la nostra mente alle sue qualità senza tempo. Quando Avalokitesvara prese la promessa del bodhisattva e cominciò la sua attività, fece forti auspici affinché chiunque ripeta questo mantra, riceverà la sua benedizione. È lo stesso con Karmapa Chenno.

Tutti i Karmapa hanno proclamato di essere Karmapa loro stessi e, per quanto ci è dato conoscere, lei ha fatto la stessa cosa quando era un bambino.

Sì, sebbene fossi molto piccolo a quel tempo.

La descriverebbe come una forte convinzione?

Sì, avevo una forte sensazione che sarei stato in grado di fare qualcosa di positivo – detta in maniera semplice – che sarei stato in grado di svolgere l’attività di dharma e raccogliere la sfida di insegnare. Avevo una sicurezza molto forte. Allora, ero molto piccolo e non sapevo esattamente il significato di quella sensazione. Era molto strano e ho iniziato a comprenderlo meglio quando avevo sei, sette anni.

Oggi, attraverso la mia pratica, posso affermare che sono in grado di compiere tutto ciò che ha svolto il precedente Karmapa e che possiedo le capacità di farlo. Questo è ciò che sento. In questo senso, sì, posso affermare di essere il Karmapa. Karmapa significa semplicemente la persona che porta a compimento l’attività.

È molto sicuro del fatto di poter assumere questo compito.

Sì, altrimenti sarei solo un’altra versione di coloro che pretendono di essere il Karmapa.

Il solo dire “Io sono il Karmapa” non è sufficiente. Per riconoscere il Karmapa, si ha bisogno di una prova. Comporta molto lavoro e una intensa meditazione da parte della persona che è responsabile del suo riconoscimento.

In questo caso Shamar Rimpoche?

Sì, Shamar Rimpoche che ha svolto questo compito con l’aiuto di un altro Lama.

Ora lei si trova in un ambiente totalmente differente dal Tibet. Le mancano i luoghi in cui è cresciuto? Ha la sensazione di potervi mai ritornare?

Chi lo sa, forse potrò tornarci liberamente un giorno. Ho trascorso la maggior parte della mia infanzia a Lhasa, ma non ne sento molto la mancanza. Quello che mi manca è la quiete del Tibet Orientale, le praterie, le montagne e la natura.

Pensa che il buddhismo in Tibet sia in declino?

Non completamente. Molti insegnanti sono ancora lì, e molte persone lavorano per il dharma. Se guardiamo nel passato, gli insegnamenti sono nati in India, successivamente furono portati in Tibet, quindi in Cina, in Europa e in tutto l’Occidente. In India ci sono ancora delle tracce di buddhismo. C’è senza dubbio una forte base in Tibet. In qualche periodo, in futuro, il buddhismo potrebbe nuovamente fiorirvi.

Suo padre è un importante lama Nyingma. Può dirci quale influenza ha avuto sulla sua infanzia?

È stata una influenza molto forte. Penso che l’aver avuto lui come padre – e lo stesso vale per mia madre – abbia facilitato il mio accesso al dharma. Proprio perché mio padre era un importante maestro Nyingma, un “rinpoche”, la sua conoscenza del dharma era molto profonda. Ho imparato molto e molto velocemente rispetto ai bambini in normali condizioni.

Le ha insegnato a meditare?

No, non proprio a meditare. Mi ha insegnato a leggere e scrivere. Non avevo un insegnante privato a quel tempo e non andavo a scuola in quanto i miei genitori non lo ritenevano sicuro. Sin da quando ero molto piccolo, hanno avuto in qualche modo una certa comprensione su chi io fossi. Quindi sono stati mio padre e mio zio ad insegnarmi tutto.

Ha avuto la possibilità di imparare a casa?

Sì, sono stato molto fortunato. Quando sono uscito dal Tibet, sapevo già molto. Ovviamente, non avevo un computer, ma avevo memorizzato molti testi.

Chi sono i suoi principali insegnanti di dharma oggi e può dirci qualcosa riguardo le loro qualità?

Dunque, pressoché ogni insegnante ha le proprie qualità peculiari e sono stato molto fortunato ad avere molti insegnanti di dharma. Ho ricevuto iniziazioni da Shamar Rimpoche, Chobje Thri Rimpoche, Ludhing Khenchen Rimpoche, Beru Kyentse Rimpoche, Khen Trinley Paljur Rimpoche e Peba Tulku. Topga Rimpoche, Sempa Dorje e Khenpo Chodrak mi hanno insegnato la filosofia buddhista. A volte ho trascorso diversi mesi in ritiri di meditazione. Questo è piuttosto importante perché il sapere non è sufficiente; bisogna averne l’esperienza.

Dove ha appreso la sua cultura occidentale?

Non sono andato in nessuna scuola, ma ho imparato molto dai miei precedenti insegnanti di inglese. Ho imparato l’inglese da diverse persone, tra cui Mark Tschelischeff, un americano, Lucy, che lavora presso l’ambasciata neozelandese a Nuova Delhi, il professore Sprigg, scozzese, con un forte accento britannico, e Shona e Stewart Jarvis dall’Australia.
Oggi, si può imparare molto con l’aiuto delle moderne tecnologie, come Internet. Sebbene abbia appreso molto, non è ancora abbastanza. Devo imparare di più, c’è un illimitato sapere in questo mondo. È un processo continuo e non ha mai fine.

Può dirci qualcosa riguardo alle ultime iniziazioni dei tantra “perduti” di Marpa, che ha ricevuto da Ludhing Khenchen Rimpoche? Perché questi tantra sono considerati così preziosi?

Shamar Rimpoche aveva richiesto diverse volte a Ludhing Khenchen Rinpoche di trasmettere queste iniziazioni, ma non era stato possibile trovare il tempo necessario in India, a causa dei suoi numerosi impegni. Quando ha programmato di viaggiare a Seattle, abbiamo deciso che sarebbe stata una perfetta opportunità ricevere queste importanti iniziazioni qui in America. Sono insegnamenti segreti, che non sono stati insegnati nel nostro lignaggio negli ultimi due secoli. Fortunatamente, sono stati praticati nel lignaggio Sakya ed è stata una opportunità preziosissima il fatto di riaverli indietro. Ne ho ricevuti ventidue; a causa dei reciproci impegni non sono riuscito a riceverli tutti. È costato molta energia da parte di Rinpoche già il darne ventidue. Ha dovuto praticare ogni giorno sei ore allo scopo di preparare ogni iniziazione e altre due ore erano necessarie per la trasmissione. Le iniziazioni più lunghe sono durate due giorni.

Perché è così importante trasmettere questi tantra?

È importante che un’ampia varietà di metodi sia preservata. Questi hanno la stessa essenza ma differenti qualità. Prima di conferire una iniziazione pubblica, è necessario ricevere la trasmissione orale e le istruzioni, e quindi assicurarsi di ottenerne la realizzazione. È sempre necessario che ci sia qualcuno che abbia il tempo di praticare questi metodi, realizzarli e trasmetterli.

Pensa che ci siano degli studenti che saranno in grado di praticare questi tantra al giorno d’oggi?

Direi di sì, tutti sono in grado di farlo. Dobbiamo usare questi metodi, non solo preservarli per il futuro.

Ma da un punto di vista pratico, è possibile?

Ognuno deve trovare il momento e il tempo giusto per farlo. È lo stesso quando si afferma che tutti hanno la natura di buddha. Per esempio, ci sono frutti diversi in un giardino, ma si possono mangiare solo quando sono maturi. Se si mangiano prima, sono aspri e difficili da digerire.

Quindi dipende dai singoli praticanti, il fatto che siano pronti o meno?

Sì, anche se gli studenti non sono ancora pronti, un insegnante, in quanto tale, dovrebbe comunque creare le migliori condizioni per la loro pratica. Questo è il motivo per cui abbiamo i centri di dharma.

Come vede la sua attività come XVII Karmapa?

È ancora una strada molto lunga, e ci sono molte sfide da affrontare. Sto facendo i primi passi e penso che sarà piuttosto interessante.

È importante per il Karmapa lo svolgere la Cerimonia della Corona Nera?

È stato importante. È stata una tradizione mantenuta fino al XVI Karmapa, ma comunque rappresenta solo una tradizione, non più di questo. Per me non è così importante. Possiamo averla, ma in caso contrario, non farà alcuna differenza.

È detto che la Corona Nera sia un simbolo dell’attività del Karmapa, ed era vero in passato. Oggi, al momento opportuno, persino un cappello da baseball potrebbe essere in grado di aprire la mente di qualcuno. È come una maniglia che apre la porta.

Esistono diversi stili di pratica nel lignaggio Kagyü e queste diversità a volte portano a delle divisioni nel sangha. Come guida del lignaggio, vede il suo ruolo come qualcosa in grado di unificare i vari approcci, o ritiene l’esistenza di vari gruppi e praticanti come naturale?

È naturale avere piccole divisioni. Al tempo in cui il Buddha ha insegnato esisteva una unica comprensione dei suoi insegnamenti. Dopo la sua morte, sono apparsi sempre più approcci.

L’esistenza di differenti approcci alla pratica è un bene se essi sono efficaci e aiutano le persone. Tuttavia, se appaiono divisioni e sorgono difficoltà, queste dovrebbero essere risolte. Rendere più moderno il modo di insegnare potrebbe essere necessario. L’idea non è quella di introdurre nulla di nuovo, ma di usare termini diversi preservandone al tempo stesso l’essenza.

Cosa rende gli insegnamenti della Via di Diamante unici nel loro genere?

Direi che questo non è il giusto modo di porre la domanda. Si può trovare qualcosa di unico in tutti i diversi metodi buddhisti.

La Via di Diamante è un metodo molto moderno, particolarmente efficace in Occidente e abbiamo già avuto notevoli risultati. Per esempio, in Europa ci sono molti praticanti, molti centri, e le persone non seguono meramente le istruzioni ma ne comprendono il significato ed è questa la cosa più importante. Sotto questo aspetto, la Via di Diamante è molto efficace nei tempi moderni. Si adatta meglio alle menti degli occidentali e in questo senso potremmo dire che i suoi insegnamenti sono unici nel loro genere.

Lo sviluppo in Europa è principalmente dovuto all’attività di Lama Ole Nydahl. Come pensa sia stato in grado di raggiungere tali risultati?

Penso che lui sia un grande esempio per tutti. Si può vedere come un individuo sia in grado di realizzare così tante cose. Prima di diventare buddhista, conduceva una vita “senza freno”. Ma una volta che si attinge alla propria natura di buddha, si possono smuovere le montagne.

Possiamo farle una domanda personale? È difficile per lei essere sempre al centro dell’attenzione di tutti?

In un certo modo mi ci sto abituando (risate). A volte può essere può essere “scomodo”, ma in alcune culture è un modo per mostrare rispetto ed è fatto con le migliori intenzioni. Negli Stati Uniti e nel Nord Europa, l’atmosfera è più semplice e rilassata.

Quale è il miglior modo di rivolgersi a lei?
I suoi studenti dovrebbero chiamarla Sua Santità?

Non è importante il nome che viene usato. Karmapa va bene; è molto semplice. Preferisco un nome rispetto a un titolo.

Cosa ne pensa delle prosternazioni offerte all’insegnante?

Il fare le prosternazioni dipende molto dalla situazione. In Asia, fa parte della cultura. In Occidente, a volte potrebbe apparire inopportuno e possiamo evitarlo. Per quanto mi riguarda, ogni volta che ricevo delle iniziazioni, il fare le prosternazioni è un dovere. Nel giusto contesto, è un gesto di rispetto. Non dovremmo farlo senza ragione. Qualunque cosa facciamo nel buddhismo dovremmo farla con la giusta comprensione.

Come vede il futuro del lignaggio Karma Kagyü?

Il futuro appare molto buono (il Karmapa ride). Nel nostro lignaggio, ci sono molte persone interessate al dharma che non solo seguono meramente gli insegnamenti ma ne hanno allo stesso tempo una comprensione intellettuale. Questa è una buona base per un futuro sviluppo.

Molte grazie.

L’intervista è stata condotta da Gosia Pellarin, Alyson Talley, Tomek Lehnert e Brooke Webb.

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